
Il prossimo 19 maggio il popolo svizzero sarà chiamato a decidere se accettare o meno alcune modifiche alla Legge sulle armi, decise in accordo con la direttiva 2017/853 dell’Unione europea. Io voterò NO, essenzialmente per tre ragioni. In primo luogo questa Legge non centra il suo bersaglio: che è quello di rendere difficile l’accesso alle armi da fuoco a terroristi e delinquenti. I disonesti infatti non agiscono alla luce del sole, ma si servono del mercato nero. Invece di agire efficacemente contro quest’ultimo, si finisce solo per danneggiare chi si comporta correttamente. La seconda ragione è data dal fatto che la direttiva europea prevede una periodica revisione della Legge ogni cinque anni: se approvassimo questo primo adeguamento alle norme europee, c’è il rischio che poi saremmo costretti ad accogliere senza fiatare anche le modifiche successive. Il terzo motivo è dato dai grossi e inutili carichi amministrativi connessi. I terroristi e i delinquenti si combattono in primo luogo con uno scambio d’informazioni rapido, efficiente e coordinato tra le diverse forze dell’ordine (non importa di quale Stato) incaricate di garantire la sicurezza: polizia, esercito, autorità doganali, autorità giudiziarie, ecc. È quanto permette l’accesso al Sistema d’informazione Schengen. La cooperazione in questo settore è nell’interesse di tutti e va ulteriormente sviluppata, come p. es. deciso da Svizzera e Italia con la creazione di pattuglie miste. Non ha dunque alcun senso vietare alla Svizzera l’accesso al SIS qualora questa nuova Legge non venisse ratificata.
Per me un’arma è come una vanga: è un attrezzo che va usato con abilità e intelligenza. Se sono capace di usare la vanga come un contadino, posso coltivare l’orto e le piante per poi raccogliere i frutti di questo utile lavoro; altrimenti rischio solo di fare danni e rovinare le radici. Da noi storicamente vi è un rapporto nei confronti delle armi basato sulla fiducia. C’è chi le possiede per preservare la nostra democrazia e far rispettare le leggi, chi per tradizione famigliare o patriottica, chi, come i cacciatori, perché ama prendersi cura del territorio in cui vive, chi per passione (il tiro è uno sport presente alle Olimpiadi), ecc.
Io voglio entrare in Gran Consiglio per riuscire a meglio difendere la mia Nazione, il mio territorio, i miei figli. È importante avere sempre in testa che il futuro è imprevedibile. Non mettiamo in solaio quegli attrezzi che abbiamo imparato a padroneggiare pensando che non servano più: il rischio è che le generazioni future non siano poi in grado di usarli in caso di bisogno. Per me è altresì fondamentale che la Svizzera rimanga indipendente e neutrale. Riconosco l’importanza dell’Unione europea per la pace in Europa. Ma sono contrario a questa inutile, burocratica impostazione centralistica che reprime, invece di valorizzare, le caratteristiche proprie di ogni Stato. In Svizzera abbiamo tutt’altra visione: “uno per tutti, tutti per uno”, al di là delle nostre differenze linguistiche, culturali o religiose.
Matteus Heiter, candidato del PPD al Gran Consiglio